Reggio, omicidio Angela Costantino; le motivazioni d'appello: "Tradimento da punire"

costantinoangelaLa Corte d'Assise d'Appello di Reggio Calabria ha depositato le motivazioni della sentenza con cui ha confermato la condanna di primo grado a 30 anni di carcere per Bruno Stilo e Fortunato Pennestrì ritenuti colpevoli del delitto della cognata Angela Costantino. Stilo e Pennestrì sono ritenuti mandante ed esecutore materiale dell'omicidio di Angela Costantino, moglie del boss Pietro Lo Giudice, fatta scomparire e uccisa per salvare l'onore del capoclan. A emettere la dura condanna (in un procedimento celebrato con rito abbreviato) sono stati i giudici togati Roberto Lucisano e Marialuisa Crucitti: "Il delitto è stato realizzato in attuazione di un programma saldo e predeterminato, avente ad oggetto la punizione della donna fedifraga, che aveva leso l'onorabilità del marito, mentre questi era detenuto, il quale rispetto alla sua onorabilità, era stato tenuto all'oscuro di tutto. La donna non solo aveva tradito il marito, ma vi erano allarmanti segnali, quali metrorragia e frequenti svenimenti, indicativi che la donna portasse in grembo una creatura che non era del marito. Onta questa ancora più grave e che necessitava di essere occultata, grazie al ricorso ad un primario "amico", che avrebbe potuto ammorbidire le risultanze della cartella clinica. A tutto ciò andavano aggiunte quelle misure repressive adottate dalla famiglia Lo Giudice: accompagnamento a vista, percosse per reprimere i moti di ribellione, psicofarmaci per sedare le continue crisi di pianto e per creare un alone di malattia psichiatrica, addotta quel genesi del suicidio".

Angela Costantino, 25enne all'epoca dei fatti, sarebbe stata uccisa per "un accordo di famiglia" (come dirà il pentito Paolo Iannò) a causa della sua relazione extraconiugale con un uomo nel periodo in cui il marito era detenuto. I suoi assassini l'avrebbero raggiunta alle prime ore del giorno del 16 marzo 1994. Da circa un mese abitava a Reggio Calabria in via XXV luglio, in un immobile al piano terra che, per decenni, è stato il feudo storico della cosca Lo Giudice. Lì, infatti, era più facilmente controllabile. A uccidere materialmente la donna sarebbe stato Fortunato Pennestrì. Bruno Stilo – uno dei "vecchi" dello storico clan Lo Giudice di Reggio Calabria – sarebbe invece stato tra i mandanti del delitto: "Vi è stata- è scritto nelle motivazioni- la maturazione del progetto criminoso, gelosamente custodito per non intaccare la serenità di Pietro lo Giudice e l'ideazione dello stato depressivo per gettare sulla misteriosa scomparsa l'ombra del suicidio. A ciò si aggiungeva un'ulteriore pericolo: Angela Costantino, conosceva partecipi, e modus operandi della cosca, e se non tutti almeno alcuni dei reati fine. Non era tollerabile che ella potesse sfuggire al controllo della famiglia esponendo quest'ultima al rischio della divulgazione dei segreti criminali custoditi".

Una sentenza, quella dei giudici Lucisano e Crucitti, che si fonda su plurime circostanze, non ultime le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Una sentenza che ridà dignità alla giovane donna e che sancisce ristabilisce verità e giustizia su un oscuro caso reggino assai presto dimenticato: "E' giudizio di questa Corte che l'intento punitivo della donna, rea di infedeltà coniugale, per l'onta arrecata al marito, ampiamente tutelato dalla famiglia Lo Giudice e lasciato ignaro di tutto, è espressione del senso di dominio su un essere umano, considerato non come individuo assistito dal diritto di autodeterminarsi, ma come un'appartenenza la cui insubordinazione andava sanzionata con la più inappellabile delle condanne: la morte".

Negli scorsi mesi, la Procura di Catanzaro ha chiuso le indagini sul magistrato Francesco Mollace, nonché su Luciano Lo Giudice e sull'imprenditore Antonino Spanò, considerato dagli inquirenti un prestanome e consigliere proprio di Luciano Lo Giudice. L'accusa sarebbe grave e coinvolgerebbe l'ex pm reggino, ora in servizio a Roma. Secondo il procuratore di Catanzaro, Vincenzo Antonio Lombardo, e i pm Gerardo Dominijanni e Domenico Guarascio, Mollace non avrebbe svolto tutti gli accertamenti necessari per arrivare ai responsabili della morte di Angela Costantino, la donna, moglie del boss Pietro Lo Giudice, uccisa e fatta scomparire perché avrebbe intrattenuto una relazione extraconiugale. Ma secondo la Procura di Catanzaro ai responsabili dell'atroce crimine forse si sarebbe potuti anche prima che intervenissero i pm Beatrice Ronchi e Sara Ombra. Il titolare del fascicolo, molti anni fa, era proprio Mollace, da tempo ormai chiacchierato per i suoi presunti rapporti con i Lo Giudice. Mollace non avrebbe dunque svolto tutti gli accertamenti necessari, sebbene dai collaboratori di giustizia arrivassero notizie in merito.

Anche in aula, nel processo contro il clan (che in primo grado si è concluso con una straripante vittoria dell'accusa) Mollace dirà con sicurezza: "Assieme al collega Palamara chiedemmo ordinanza di custodia cautelare sia per la scomparsa della cognata, Angela Costantino o Cosentino, non so come si chiamava". Rispondendo alle domande del procuratore capo di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, e del sostituto Beatrice Ronchi, l'ex magistrato di Reggio Calabria, Francesco Mollace, aveva enumerato alcune attività svolte contro gli ambienti della cosca Lo Giudice. Un passaggio di rilievo, nel racconto dell'ex sostituto procuratore generale, dato che sia il procuratore Cafiero de Raho, sia il pm Ronchi lo incalzavano sulla natura della conoscenza portata avanti con Luciano Lo Giudice. Mollace ricorderà l'attività che avrebbe svolto diversi anni prima: "Un fascicolo relativo alla scomparsa, è una vicenda molto delicata questa, che io ho fatto un'attività presso Villa Aurora. Si sosteneva, praticamente, di un ricovero della signora presso Villa Aurora, ricovero che celava altre ragioni, cioè ricoverata per A, ma invece la patologia era B. E di questo ne ha parlato Maurizio Lo Giudice, ne parlò diffusamente. Poi ne hanno parlato altri collaboratori, ma non li ho trattati io e sulla base di tutta una serie di attività, il sequestro di cartelle cliniche, interrogatorio di persone, ripeto, non posso ricordare tutto perché il GIP praticamente liquidò con poche battute la consistenza della cosa, ha respinto la nostra richiesta, perché le dichiarazioni di Maurizio Lo Giudice non avevano trovato riscontro". Quindi è già Mollace a ricordarsi di essersi occupato in prima persona del caso: "Se non ricordo male, Lo Giudice Maurizio diceva che il fratello dal carcere, il marito o gli altri fratelli, uno, o più fratelli avevano dato mandato ad altri soggetti che erano fuori di eliminare la signora, facendola scomparire nelle acque, non so se qua a Reggio, a Villa, dove. Questa è la vicenda, se è questa Angela Costantino, non Cosentino, Costantino sì". A distanza di un mese e mezzo, però, l'ex sostituto procuratore generale si schiarirà le idee e farà pervenire una lettera al Collegio presieduto da Silvia Capone e chiamato a decidere le sorti del clan Lo Giudice. Una lettera in cui Mollace ritira le affermazioni rese, ammettendo di aver fatto confusione o comunque di aver ricordato male, rispetto alle attività portate avanti negli anni in Procura.