Reggio, ecco perchè è crollata l'indagine sulla Multiservizi e il clan Tegano

multiservizidi Claudio Cordova - Alcuni mesi fa ha rappresentato un flop clamoroso per la Dda di Reggio Calabria. La sentenza d'appello che ha assolto diversi presunti affiliati al clan Tegano ha, soprattutto, aperto crepe piuttosto larghe nella ricostruzione che il sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, aveva effettuato sulla infiltrazione della potente cosca di Archi nella Multiservizi, la società mista del Comune che sarà tra le principali cause dello scioglimento dell'Ente per contiguità con la 'ndrangheta.

A distanza di quasi tre mesi, la Corte d'Appello di Reggio Calabria ha depositato le motivazioni con cui sono stati assolti Giuseppe Tegano (fratello del boss Giovanni Tegano) che in primo grado era stato condannato a 16 anni di reclusione, Francesco e Pietro Labate (difesi dall'avvocato Francesco Calabrese), ritenuti organici all'omonimo clan operante nel quartiere Gebbione, che in primo grado avevano rimediato 20 anni di reclusione ciascuno. Spazzati via anche i 10 anni inflitti in primo grado per Pasquale Utano (difeso dall'avvocato Michele Albanese), legato da vincoli di parentela proprio con i Tegano. Una sentenza che ha anche dichiarato la nullità della sentenza di primo grado, sia nei confronti del commercialista-spione Giovanni Zumbo (difeso dagli avvocati Emanuele Genovese e Alessandra Nocera), sia nei confronti dell'ex direttore operativo della Multiservizi, quel Pino Rechichi (difeso dall'avvocato Antonino Curatola) considerato organico alla cosca Tegano. Per la Corte, con riferimento alle presunte intestazioni fittizie, il fatto è diverso da quello contestato dall'accusa: per questo vengono rispediti gli atti al pm.

Un'indagine, quella del pm Lombardo, che con riferimento ai soggetti ritenuti organici al clan Tegano viene ritenuta evidentemente troppo appiattita sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Nei confronti di Giuseppe Tegano, in particolare, le dichiarazioni dei vari Giuseppe Morabito, Giovanni Battista Fracapane, Nino Fiume, Consolato Villani, Nino Lo Giudice e Roberto Moio vengono ritenute "generiche" e ne viene sottolineato il "limite probatorio" in diversi passaggi: "Le dichiarazioni si limitano a descrivere il Tegano come aderente alla famiglia mafiosa "dei Tegano" senza che tale indicazione sia accompagnata da ulteriori precisazioni".

In alcuni casi (come quello riguardante Pasquale Utano) la Corte bacchetta l'accusa, sostenendo che la stessa dia per scontata la partecipazione all'associazione criminale: condotta, questa, che invece doveva essere provata.

Ma la parte più devastante è formata da ciò che la Corte scrive sui soggetti che avrebbero avuto un ruolo per l'infiltrazione dei Tegano nella Multiservizi. A cominciare dal direttore operativo Pino Rechichi (condannato per partecipazione alla cosca Tegano). Rechichi, insieme alla "talpa" Zumbo, l'uomo che si recherà a casa del boss Giuseppe Pelle per spifferare particolari d'indagine sull'inchiesta "Crimine", era accusato di intestazione fittizia di beni, perché, attraverso una serie di triangolazioni societarie (in cui saranno coinvolte, a vario titolo, le ditte Comedil, Sica e Recim) avrebbero permesso ai Tegano di "entrare" nella parte privata dell'azienda Multiservizi, società mista del Comune di Reggio Calabria.

Un ingresso che si sarebbe concretizzato nel luglio 2008.

La Corte d'Appello, però, la pensa diversamente: "L'esame del complessivo materiale probatorio versato in atti consente di aderire soltanto parzialmente all'impostazione accusatoria atteso che, se certamente i vari passaggi societari hanno individuato altrettante fittizie intestazioni, non altrettanto certo è che ciò sia avvenuto allo scopo di consentire a Tegano Giovanni e Carmelo Barbaro (uomini forti del clan, ndr), secondo l'accusa i veri dominus della società, di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione. A parere della Corte la finalità elusiva deve essere ricondotta ad un soggetto diverso da Tegano Giovanni e Barbaro Carmelo, ossia proprio a Rechichi Giuseppe".

E anche in questo caso, la Corte sottolinea come le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia siano state accolte dalla Dda di Reggio Calabria in maniera troppo accondiscendente. A cominciare dalle affermazioni di Giovanni Battista Fracapane che "appaiono non confortate dai dati oggettivi ricavabili dalle stesse indagini svolte dall'Ufficio di Procura". E se sul tema le dichiarazioni di Nino Lo Giudice vengono considerate "inconsistenti" poiché il "Nano" si limita ad affermare che "si diceva in giro" del rapporto tra i Tegano e la Multiservizi, la Corte sottolinea come lo stesso Roberto Moio, nipote dei Tegano e quindi soggetto intraneo alla cosca, non abbia mai riferito nulla in merito alle ingerenze del clan in seno alle società di Rechichi.

Insomma, sia per Rechichi, che per Zumbo, il fatto contestato a entrambi sarebbe diverso. Del resto era stato lo stesso sostituto procuratore generale, Ezio Arcadi, a provare (senza successo) a modificare l'accusa: "Sarà cura dell'Ufficio di Procura, al quale gli atti devono essere rimandati di approfondire questo aspetto".

Una frase breve, ma abbastanza affossante.