L'eterno dibattito sul Ponte sullo Stretto: ma ora si sfiora il ridicolo

pontesullostrettodi Domenico Marino* - Alcuni Giornali hanno, nei giorni scorsi, riportato la notizia che il governo Renzi avrebbe intenzione di riaprire il dossier sul Ponte sullo Stretto.

"A volte ritornano" era il titolo di un libro di Stephen King, Maestro del Brivido. Non vi potrebbe essere commento migliore a questa notizia, se fosse confermata.

Riaprire il dibattito sul Ponte sarebbe un'operazione, oltre che irrazionale e illogica, seriamente a rischio di ridicolo.

Negli anni scorsi è stato dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, l'inutilità di quest'opera, l'insostenibile leggerezza del Ponte sullo Stretto e la decisione del Governo Monti, di porre fine ad una storia di sprechi e di spese inutili che si perdeva negli anni della Prima Repubblica è stata la logica conclusione di un lungo processo di riflessione.

Anche a costo di sembrare monotoni è opportuno riprendere brevemente alcune delle motivazioni che hanno portato alla cancellazione di questa infrastruttura.

Oggi abbiamo la certezza che non solo il Ponte non è una priorità per la Calabria e la Sicilia, sappiamo che non è utile e funzionale allo sviluppo delle due Regioni, ma che anzi è potenzialmente dannoso.

Il Ponte non serve alle comunità locali; non è strategico per gli spostamenti di lunga distanza; difficilmente si autofinanzierà. Soprattutto, il Ponte non è funzionale al modello di sviluppo dell'area dello Stretto. La Calabria e la Sicilia, se vogliono avviare processi virtuosi di sviluppo, devono puntare sulle loro risorse territoriali e sulle vocazioni caratteristiche degli ambiti locali; devono innescare processi endogeni, valorizzando le loro molteplici ricchezze sia ambientali che storico-culturali. Oltre che inutile e diseconomico, questo Ponte sembra anche sostanzialmente legato a una filosofia vecchia e arretrata dello sviluppo: una filosofia che non tiene conto dell'evoluzione e della complessificazione del sistema economico contemporaneo, e che continua a proporre ricette vecchie per la soluzione dei problemi, quando invece bisognerebbe agire rapidamente con strumenti nuovi e adeguati ai tempi.

I risultati della valutazione complessiva fanno emergere troppe criticità, troppi dubbi irrisolti, le risorse finanziarie necessarie alla costruzione del Ponte, poi, non sono disponibili oggi, né lo saranno in futuro.

La realtà è che, malgrado i trent'anni e più di studi e progettazioni per i quali la Stretto di Messina spa ha beneficiato della generosa munificenza di diversi governi, sul Ponte abbiamo molte idee frammentarie e poche certezze, molte ipotesi e pochi punti fermi. Esaminiamone alcuni.

Uno dei dubbi più grossi riguarda la possibilità di far passare i treni sul Ponte. Non a caso i giapponesi hanno scelto di non far passare i loro treni sul Ponte di Akashi-Kaikyō, che è stato realizzato con la stessa tecnologia costruttiva prevista per il Ponte sullo Stretto, ma che è lungo circa la metà di quest'ultimo. Senza un progetto esecutivo, come facciamo a trasformare in certezza la possibilità del passaggio dei treni? Il ponte è soggetto a oscillazioni trasversali proprie della struttura, a dilatazione termica, alle oscillazioni indotte dal vento. È davvero possibile far passare i treni, tenuto conto che queste dilatazioni e oscillazioni sono nell'ordine di metri? La mia opinione è che i treni non possano passare sul ponte.

E ancora: quanti saranno i giorni di chiusura a causa del vento? Più di cento sostiene qualcuno. Ma se anche fossero di meno, già la sola possibilità impedisce di dismettere le navi.

L'opera sarà effettivamente in grado di resistere a un sisma di 7,2 gradi della scala Richter? E se il sisma avesse una magnitudo maggiore, come si comporterebbe la struttura? Se il sisma si verificasse in fase di costruzione, quale sarebbe la soglia di sicurezza? Ogni anno nel mondo vi sono più di cinque eventi sismici con magnitudo maggiore di 7,2 gradi della scala Richter e ciò che sappiamo sul ponte di Akashi colpito un sisma in fase di costruzione non ci lascia affatto tranquilli. A seguito del sisma infatti le due torri si allontanarono di un metro e solo il fatto che l'impalcato non era stato ancora montato ha evitato danni maggiori.

I documenti in nostro possesso non permettono di fugare i numerosi dubbi sull'opera; questa appare in molti punti avvolta da una cortina di nebbia che non permette di apprezzarne i contorni effettivi. Decidere di riaprire il dossier sul Ponte sarebbe un azzardo, una forma molto perversa di moderna roulette russa; ma a soccombere, in caso di evento calamitoso, sarebbe un intero territorio.

Il Ponte è stato un annuncio perenne, che ha generato e vorrebbe continuare a generare un considerevole impegno di spesa pubblica (improduttiva); che ha creato e spera ancora di creare aspettative (lecite e illecite), visioni e sogni di sviluppo, è stato un inutile spreco di denaro pubblico che tra l'altro ha prodotto produce, in un periodo di risorse scarse, un effetto di spiazzamento sugli altri investimenti. Non è stato altro che uno specchietto per le allodole che per molti anni ha impedito che si programmassero interventi infrastrutturali vicini ai bisogni reali dei cittadini. .Investire sul Ponte avrebbe significato precludere la possibilità di fare altri interventi infrastrutturali più urgenti e prioritari. Non è affatto vero che il Ponte sarebbe stato l'investimento che avrebbe trascinato il sistema infrastrutturale del Sud; sarebbe stato piuttosto l'intervento che avrebbe impedito altri interventi più utili e anzi prioritari, e che non avrebbe potuto fare altro che collegare due deserti. In un periodo di crisi e di sacrifici come quello che stiamo attraversando la gente non è più disposta a credere alle favole. Abbiamo bisogno di infrastrutture che servano bisogni semplici della popolazione, ma tremendamente reali, come quello di non rischiare la vita a causa di una violenta pioggia.

In conclusione riaprire il dossier del Ponte sarebbe quanto di più illogico, anacronistico, dispendioso e dannoso per la Calabria e la Sicilia si possa immaginare.

*Prof. Domenico Marino

Docente di Politica Economica Università Mediterranea di Reggio Calabria